ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO PEPOLI  -  Trapani

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipinti, schizzi, disegni, rilievi, sculture di numerosi artisti italiani hanno rappresentato il percorso dei Mille in Sicilia

 

 

 

 

 

 

 

Al Museo Pepoli di Trapani si conserva il vessillo commerciale de Il Lombardo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giuseppe Patania cura i particolari nel ritrarre la prima moglie di Ferdinando II

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vincenzo Vela diventa il “Cantore dell’Unità d’Italia”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Marsala ha dedicato ai Mille il Civico Museo Risorgimentale Garibaldino “Giacomo Giustolisi”

 

 

 

 

A Salemi Garibaldi ricevette in dono il primo tricolore per l’Italia Unita

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A Calatafimi, sulla sommità del colle di Pianto Romano, Ernesto Basile progettò il Sacrario

1861-2011

150° anniversario dell’Unità d’Italia

 

“Unita nelle Arti”

Dai Mille ai Padri del Risorgimento

 

“L’Italia comincia da Trapani”

 

Lina Novara

“L’Italia comincia da Trapani” è una frase storica, rivolta a Giolitti dall’onorevole trapanese Nunzio Nasi (1850-1935) volendo alludere alle tappe iniziali dell’impresa dei Mille che portò alla nascita di uno Stato unitario: Garibaldi, sbarcato a Marsala l’11 maggio 1860, attraversò infatti la provincia di Trapani, facendo tappa a Salemi, Calatafimi e Alcamo per poi proseguire verso Palermo, Messina e dopo fino al Volturno.

Dipinti, schizzi, disegni, rilievi, sculture di numerosi artisti italiani, oltre che le riproduzioni contenute nelle opere editoriali dell’epoca, hanno rappresentato il percorso dei Mille in Sicilia, ponendo l’attenzione anche sui luoghi delle battaglie e sulle rovine prodotte dai cannoneggiamenti.

Il fatto che artisti siciliani e non, abbiano preso in considerazione gli eventi siciliani dell’impresa garibaldina, ha determinato, parallelamente all’Unità storica, proclamata il 17 marzo 1861, una sorta di “unità nelle arti” che vede oggi, presenti in vari musei della nazione, opere di artisti italiani che documentano la spedizione dei Mille.

In ambito locale, il Museo Interdisciplinare Regionale “Agostino Pepoli” di Trapani, il Civico Museo Risorgimentale Garibaldino “Giacomo Giustolisi” di Marsala, il Museo del Risorgimento di Salemi custodiscono opere d’arte, fonti documentarie, armi, cimeli, legati a personaggi, fatti e vicende che hanno portato all’Unità d’Italia.

Nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860 Garibaldi salpava da Quarto con due piroscafi in legno con propulsione a vapore, di proprietà della società armatoriale “Rubattino”, adibiti al trasporto civile: Il Piemonte, su cui viaggiò lo stesso Garibaldi e Il Lombardo al comando di Nino Bixio.

Al Museo Pepoli di Trapani si conserva il vessillo commerciale de Il Lombardo, una nave con due ruote a pale, dotata anche di vele quadre, varata a Venezia nel 1841ed acquistata nel 1846 dalla compagnia Rubattino. La sera del 5 maggio del 1860, nel porto di Genova, fu prelevata, assieme a Il Piemonte, da un gruppo di garibaldini comandati da Nino Bixio; la vicenda del furto, ricostruita in modo controverso dalle fonti storiche, sembra sia legata invece ad un accordo intercorso tra la società Rubattino e le massime autorità sabaude. Nel 1864 naufragò durante una tempesta mentre navigava nell’Adriatico, trasportando detenuti da Ancona al carcere delle isole Tremiti. Il vessillo a strisce orizzontali bianche e rosse, issato ai tempi dell’impresa dei Mille, fu posto in salvo, durante i bombardamenti del maggio 1860, da Gaspare Bulgarella che la consegnò a Garibaldi il quale, dopo averlo baciato, glielo regalò; venne in seguito acquistato dal Conte Agostino Pepoli, fondatore del Museo a lui dedicato. Il tricolore che sventolava sulla stessa nave si trova ora al Museo del Risorgimento della “Società Siciliana di Storia Patria” di Palermo.

Nella Sezione risorgimentale del Museo Pepoli si conservano inoltre la divisa del garibaldino Vincenzo Gemelli ed il ritratto di Antonino Strazzera, un semplice pescatore che trovandosi casualmente con il suo peschereccio nei pressi di Marettimo, la mattina dell’11 maggio guidò Garibaldi nel porto di Marsala(1); per questo motivo divenne un personaggio storico, ebbe una pensione e salì “agli onori” del ritratto, eseguito da un ignoto pittore della seconda metà del secolo XIX.

La sala dei dipinti dell’Ottocento, recentemente sistemata, ospita due ritratti celebrativi di ben altro rango, quelli in miniatura dei reali di Borbone, Ferdinando II e la seconda moglie Maria Teresa d’Austria, datati 1851,

Ritratto di Antonio Strazzera, Trapani, Museo Pepoli

R. Giovine, ritratto di re Ferdinando II, 1851 ca., smalto su porcellana, Trapani, Museo pepoli

R. Giovine, ritratto della regina Maria Teresa D'Austria, 1851, smalto su porcellana, Trapani, Museo pepoli

 realizzati su porcellana di Capodimonte da Raffaele Giovine che si sofferma sulla resa fisionomica e sui dettagli decorativi dell’abbigliamento (2).

Anche il palermitano Giuseppe Patania (1780-1852) cura i particolari nel ritrarre la prima moglie di Ferdinando II, Maria Cristina (1833): un ritratto aulico celebrativo, nel quale l’ovale del viso e il colore dell’incarnato si rivelano ancora neoclassici(3).

L’autore dimostra abilità nel mettere in evidenza, attraverso il colore, la luminosità della seta e gli effetti cangianti del velluto, come già aveva sperimentato nel ritratto di Fanciullo della Galleria Civica d’Arte Moderna di Palermo.

Al Patania si devono inoltre i dipinti di due Fardella(4): Giovan Battista (1762-1836) e Vincenzo (1808-1889), personaggi dell’aristocrazia trapanese che ebbero ruoli di governo ed istituzionali. Del primo che fu ministro di Francesco I e Ferdinando II, eseguì post mortem un ritratto celebrativo (1838), su fondo scuro, riproducendone in modo realistico la fisionomia; del secondo nel 1848 creò un dipinto, per così dire più “romantico”, nel quale sostituì il fondo oscuro con la veduta da una finestra, su influsso del Ritratto di Paolo Emiliani Giudici, dipinto da Salvatore Forte nel 1840.

 G. Patania, ritratto di Maria Cristina, 1833, olio su tela, Trapani, Museo Pepoli

G. Patania, ritratto di Giovan Battista Fardella, 1836, olio su tela, Trapani, Museo Pepoli

G. Patania, ritratto di Vincenzo Fardella,

Vincenzo Fardella di Torrearsa prese parte ai moti insurrezionali dell’isola nel 1848 e fu presidente della Camera dei Comuni del Parlamento Siciliano. Esiliato a Genova, aderì al programma politico unitario ispirato da Cavour e dopo il 1860 fu uno degli unitari più intransigenti, rappresentando in Sicilia l’ala moderata del movimento liberale. Al Parlamento di Torino ricoprì la carica di senatore e, nel 1870, di presidente. Del marchese sono esposti anche due abiti di rappresentanza ed un foulard in seta con la riproduzione a stampa del suo ritratto, un tipo di foulard con effigie di personaggi risorgimentali, che veniva indossato a corredo del cosiddetto “vestito nazionale”, definito all’italiana o alla lombarda, a seguito dei moti del 1848; delimitato da una cornice con i colori della bandiera italiana, esso contiene inoltre la scritta Viva Pio IX, riprodotta ai quattro angoli. Dal 17 marzo 2011 sono esposti nella stessa Sezione risorgimentale del Museo Pepoli, cinque inediti busti marmorei, raffiguranti Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Umberto I e Vittorio Emanuele III.

I primi tre sono dello scultore svizzero Vincenzo Vela (1820-1891), uno fra i massimi esponenti della scultura realista del XIX secolo, particolarmente influenzato dalle ricerche formali di Lorenzo Bartolini, che lo indirizzeranno allo studio del vero(5).

Gli altri due busti sono rispettivamente dei fratelli Leonardo e Giuseppe Croce, figli dello scultore ericino Pietro. Provengono tutti dalla sede della Provincia di Trapani che tra il 1861 e il 1862 commissionò i busti dei Padri del Risorgimento allo scultore ticinese, nel 1879 quello di Umberto I a Leonardo Croce e nel 1927 a Giuseppe Croce quello di Vittorio Emanuele III.

All’indomani dell’Unità d’Italia, al fine di “fare gli italiani”, in tutta la penisola fu attuato un programma celebrativo dei tre “simboli” dell’Unità - Cavour, Garibaldi e Vittorio Emanuele II - e tutte le città italiane si attivarono in tempi e modi diversi per realizzare busti e monumenti urbani, rispondenti a modelli iconografici predefiniti.

Vincenzo Vela, impegnato come patriota e come artista, diventa il “Cantore dell’Unità d’Italia” e a lui si rivolgono città come Milano, Roma e Torino per celebrare i Padri del Risorgimento: suo è il famoso monumento a Garibaldi in piazza Vittoria a Como.

Anche la Provincia di Trapani, subito dopo la sua istituzione, per celebrare i tre “simboli” con dei busti da collocare nella sala consiliare, allora ubicata nell’ex collegio Gesuitico, si rivolse allo scultore ticinese, che realizzò le opere secondo modelli originali in gesso, ora conservati nel “Museo Vela” di Ligornetto.

Le tre opere trapanesi sorprendono per qualità e raffinatezza dei dettagli, come l’effetto serico della fascia diagonale sul petto di Cavour, la morbidezza della giubba di Garibaldi, il collo di pelliccia, le medaglie e le decorazioni di Vittorio Emanuele II, tra cui il collare della Santissima Annunziata.

Non meno interessanti per i modi naturalistici, anche se di diverso livello qualitativo, sono i busti dei Croce(6): quello di Umberto I, Leonardo lo realizzò a Roma dove aveva studio fuori Porta del Popolo e dove eseguì anche un busto di Vittorio Emanuele II, firmato e datato “L. Croce fece Roma 1897”. Di Leonardo va inoltre ricordato il Monumento a Garibaldi, a Trapani, del 1890.

Nella sala della ghigliottina del Museo Pepoli, in una grande vetrina sono esposte numerose armi utilizzate durante il Risorgimento: pistole, fucili da caccia o destinati alle truppe del Regno delle due Sicilie, sciabole per la fanteria, la cavalleria o da abbordaggio.

Marsala, la città dello sbarco, ha dedicato ai Mille il Civico Museo Risorgimentale Garibaldino “Giacomo Giustolisi” nel quale, tra armi, cimeli, medaglie, divise e camicie rosse, spiccano un busto in gesso di Garibaldi, della seconda metà del sec. XIX, una rara tela che lo raffigura in divisa di generale dell’esercito sardo ed un curioso cimelio: la poltrona in damasco su cui l’eroe riposò la sera dell’11 maggio(7).

Salemi, città dove Garibaldi proclamò la “Dittatura in nome di Vittorio Emanuele II Re d’Italia”, raccoglie nel Museo del Risorgimento fonti documentarie tratte dall’Archivio Storico Comunale, una collezione di sciabole, fucili, baionette, trizzalore del periodo, e tele raffiguranti “picciotti” salemitani che si unirono a Garibaldi e “decurioni” che con delibera del Consiglio Civico del 14 maggio 1860 manifestarono al Generale riconoscenza per avere spontaneamente assunto “la difesa della Sicilia” e lo pregarono di “volere prendere la Dittatura del paese per assicurarne l’ordine e la libertà, cacciando i satelliti del dispotismo Borbonico”.

A Salemi Garibaldi ricevette in dono il primo tricolore per l’Italia Unita, confezionato a Santa Ninfa, un comune limitrofo, dove una lapide ricorda la casa nella quale “fu fatta nella notte del 12 maggio 1860 dalle Sig.re Vitina Granozzi Patera e Ippolita De Stefani Perez la prima bandiera tricolore che da un gruppo di ardimentosi cittadini primi fra tutti accorsi a Salemi fu consegnata a Giuseppe Garibaldi sulla spianata della torre del castello e dall’eroe commosso accolta col grido VIVA SANTA NINFA ”.

Lo storico imbarco avvenuto a Quarto è stato rappresentato da artisti di fama tra cui il milanese Gerolamo Induno (1825-1890), principale interprete dell’epopea risorgimentale ed autore di numerose opere di carattere patriottico, allievo di Luigi Sabatelli all’Accademia di Brera e fratello minore del più noto Domenico.

Anche se Induno non partecipò fisicamente all’impresa dei Mille, idealmente tradusse in pittura le cronache dei giornali e i racconti dei reduci. Il suo L’imbarco dei Mille a Quarto (1860), conservato nelle Civiche Raccolte d’Arte di Milano, è un dipinto storico-celebrativo nel quale il pittore inserisce più scene di genere, dal paesaggio costiero ai due piroscafi in lontananza, ed interpreta le emozioni e i sentimenti che la partenza provoca nei personaggi rappresentati.

A Garibaldi, che lo aveva definito uno dei più “intrepidi e valorosi combattenti di Roma” l’Induno dedicò numerosi ritratti tra cui Garibaldi a Marsala, conservato nel Museo del Risorgimento di Milano, divenuto il modello iconografico del volto dell’eroe.

Lo sbarco a Marsala è stato inoltre immortalato da stampe, incisioni e dipinti, tra cui quello di un Ignoto del XIX secolo, conservato nel Museo Storico di Bergamo, nei quali però, sebbene la scena venga minuziosamente descritta, si notano delle inesattezze nelle descrizioni dei luoghi, non sempre riconducibili al paesaggio reale, e in qualche caso si rivela un gusto vigniettistico. Conosceva bene i luoghi dello sbarco il marsalese Giuseppe Titone autore de Lo Sbarco dei Mille a Marsala (seconda metà del secolo XIX), custodito nelle Raccolte Storiche del Comune di Milano(8).

Anche stampe incisioni e dipinti che rappresentano la storica battaglia di Calatafimi, avvenuta il 15 maggio, peccano nella descrizione dei luoghi, come le litografie dove il paesaggio è riconducibile più a quello alpino che non a quello siciliano.

Fra le immagini toccanti della battaglia, la più famosa è la Battaglia di Calatafimi (1860) di Remigio Legat, un olio su tela, esposto nel Museo del Risorgimento di Milano, che presenta una scena affollata e concitata nella quale, tra camicie rosse, ruote di carri, morti e feriti, spicca la figura di Garibaldi; in primo piano a destra è raffigurato fra’ Giovanni Pantaleo da Castelvetrano che prima della battaglia si unì a Garibaldi e lo seguì per tutta la spedizione, avendo un ruolo non secondario nella generale mobilitazione popolare che accompagnò i Mille in Sicilia: di lui in “Da Quarto al Volturno” Cesare Abba riferisce che “giovò mirabilmente alle cose nostre… e non ebbe l’eguale nel sollevare i popoli e nello innamorarli alla crociata contro la tirannia, vuole spandere un’aura di religiosità sopra di noi”. E Garibaldi nel fargli una dedica scrive “all’uomo esemplare, amico mio fratello d’armi, Pantaleo, cui l’Italia e il mondo devono gratitudine”.

Interessante per l’accuratezza del disegno è lo “schizzo realizzato sul posto” e riprodotto ne I Mille per il Generale Giuseppe Garibaldi, edito dal Regio Stabilimento L. Lavagnino di Genova nel 1876, nel quale alla resa naturalistica si associa quella plastico-pittorica evidenziata dal tratto deciso che spesso si incrocia.

Alla storica frase “Nino qui si fa l’Italia o si muore” rivolta da Garibaldi a Bixio, si ispira il milanese Achille Dovera (1838-1895), allievo di Hayez, nell’acquerello su cartone ora conservato a Genova nel Museo Risorgimentale, variamente riprodotto in stampe popolari, nel quale il gesto del braccio destro alzato e dell’indice puntato di Garibaldi, alludono alla celebre frase.

A Calatafimi, sulla sommità del colle di Pianto Romano che fu teatro della battaglia, l’architetto palermitano Ernesto Basile (1857-1932), massimo esponente del liberty italiano, progettò il Sacrario (1885-1892) che contiene le spoglie di garibaldini, picciotti e borbonici. Due altorilievi in bronzo del genovese Giovanni Battista Tassara (1841-1916), patriota e garibaldino, posti sulle pareti laterali esterne, raffigurano Lo sbarco dei Mille e la Battaglia di Calatafimi(9); tra i personaggi di quest’ultima si nota il piacentino Giovanni Maria Damiani, raffigurato nell’atto di afferrare un lembo di stoffa della bandiera che stava finendo in mani borboniche. Vanno inoltre ricordate le opere editoriali dell’epoca, tra cui l’interessante Album storico artistico - Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra d’Italia nel 1860, pubblicato dai fratelli Terzaghi a Milano nel 1862, con cenni storici e descrittivi di un non identificato B.G., attinti dai racconti dei protagonisti; l’album è illustrato “con disegni dal vero delle barricate di Palermo, ritratti e battaglie litografati dai migliori artisti”, ossia sessanta vignette in seppia e bianco e nero nelle quali, nonostante la ricerca di fedeltà al dato reale, si trovano diverse “licenze”, frutto di elaborazione fantastica, oltre che ingenuità ed incertezze prospettiche, così come avviene anche nell’ Album storico artistico della guerra d’Italia 1860-1861, altra opera editoriale stampata a Torino nel 1864, con immagini toccanti pur con inesattezze nelle descrizioni dei luoghi.

E nel percorso di Garibaldi in Sicilia “per immagini” non si può non menzionare il celebre dipinto La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio di Renato Guttuso, eseguito fra il 1951 e il 1952, espressione del suo realismo pittorico, nella doppia valenza artistica e ideologica, rappresentando l’orientamento estetico ufficiale del partito comunista, di cui l’artista stesso era assurto a simbolo.

La monumentale opera (m. 3,18 x 5,20) nella quale il pittore ritrae anche il nonno Ciro, arruolatosi come garibaldino, e i volti di dirigenti del Partito Comunista del suo tempo, è stata acquistata dagli Uffizi nel 2004(10).

 _____________________

NOTE

1 Per le opere della Sezione Risorgimentale del Museo Pepoli vedi AA.VV. Memorie del Risorgimento nelle collezioni del Museo Pepoli, Palermo 2003; su Strazzera vedi S. Costanza, Storia di Trapani, Palermo 2009, p.173.

2 Cfr.: AA.VV. Memorie…, cit. 2009.

3 Su Patania vedi I. Bruno, Giuseppe Patania, pittore dell’Ottocento, Caltanissetta-Roma 1993.

4 Cfr. nota 2.

5 Cfr. D. Scandariato, infra.

6 S. Riccobono, Croce Giuseppe, Croce Leonardo, in “L. Sarullo, Dizionario degli Artisti Siciliani, Scultura, III, Palermo 1994, ad voces.

7 Civico Museo Risorgimentale Garibaldino “Giacomo Giustolisi”, a cura del Lions Club di Marsala, Marsala 2010

8 Su Titone vedi L. Novara, Titone Giuseppe, in “L. Sarullo, Dizionario degli Artisti Siciliani, Pittura, II, Palermo 1993, ad vocem.

9 G. Bongiovanni, I rilievi bronzei di Giovanni Battista Tassara, in Il monumento garibaldino di Pianto Romano. Restauro ed acquisizioni, Trapani, Soprintendenza BB.CC.AA., 1994, pp. 15-19.

10 Il presente testo di L. Novara, con il titolo L’Italia comincia da Trapani. L’impresa dei Mille rievocata con arti e in tempi diversi, è estratto dalla Rivista AMICI DEI MUSEI, FIDAM – Federazione Italiana delle Associazioni degli “Amici dei Musei”, Anno XXXVI-XXXVII, n. 124-127, Ottobre 2010/Settembre 2011, pp. 203 -210.

 

  E’ vietato copiare, riprodurre o utilizzare, parzialmente o in toto, il presente testo, senza l'autorizzazione dell'autore.