ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO PEPOLI  -  Trapani

12 La sentenza*
Gesù, Pilato, un soldato, un tribuno, un servo
Domenico Nolfo - 1772
Ceto Macellai 

1 La Separazione
2 La lavanda dei Piedi
3 Gesù nell’orto del Getzemani
4 L’arresto
5 La caduta al Cedron
6 Gesù dinanzi ad Hanna
7 La negazione
8 Gesù dinanzi ad Erode
9 La flagellazione
10 La coronazione di spine
11 Ecce Homo
12 La sentenza
13 L’ascesa al Calvario
14 La spoliazione
15 La sollevazione della croce
16 La ferita al costato
17 La deposizione
18 Il trasporto al sepolcro
19 Gesù nell’urna
20 L’Addolorata

 

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delle schede

 

Nella mattinata avanzata del venerdì, Pilato dopo i vani tentativi di salvare Gesù, sedutosi in tribunale, “prese dell’acqua e si lavò le mani dinanzi al popolo dicendo: Io sono innocente del sangue di questo Giusto” (Matteo XXVII,17-24).
L’episodio viene descritto attentamente nel dodicesimo gruppo processionale, dallo scultore Domenico Nolfo, che oltre ai due protagonisti, Gesù e Pilato, raffigura altri tre personaggi, la cui presenza è necessaria ai fini di illustrare la scena: un tribuno che tiene in mano la targa (d’argento, secolo XIX) con la sentenza per cui Gesù viene condannato: INRJ (Iesus Nazarenus Rex Judeorum), un soldato che lo tiene legato e un servo che porge a Pilato la bacinella per lavarsi le mani. 
Domenico Nolfo (1730-1782), figlio di Antonio, nel febbraio 1772 ricevette dai consoli dei beccai e dei bucceri un incarico, per così dire, “a breve termine” per la realizzazione del gruppo “La sentenza”, il penultimo ad essere aggregato alla processione, dovendo consegnare “detto mistero… terminato, idoneo ad uscire nel Venerdì Santo” dello stesso anno (atto del 20 febbraio 1772, not. M. Rosselli). Nell’atto di commissione sono inserite precise indicazioni alle quali lo scultore deve attenersi per la realizzazione dei cinque personaggi: “il Presidente Pilato, seduto pro tribunali, con sedia dorata e intagliata di mestura, un paggio che gli pone per lavarsi le mani con moffetta all’uso pure intagliata e dorata di mestura, Misandro nobilmente vestito, Nostro Signore ignudo ed un soldato, che lo custodisce d’armi bianco vestito”. Le statue inoltre “dovranno avere l’ossatura di castagna tonda di mezzo girello, mani, piedi, e testa di cipresso, sovaro solamente per conturnare, tela, e colla di carnazzo di sieri, passati a due mani il colore ad oglio di lino, e a due mani l’incarnatura ad oglio di noce, la guarnitura d’oro zecchino, li paralumi corrispondenti pella cera intagliati, e dorati di mistura, bara ed assi capaci a condursi detto mistero sulle spalle”. 
Importante risulta questo atto per la descrizione della tecnica del “legno tela e colla” con cui sono realizzati tutti i gruppi processionali dei “Misteri”! Dallo stesso si evince che Nolfo doveva realizzare anche la struttura lignea della “vara” e le assi per il trasporto a spalla. 
Nell’attuale gruppo manca la figura di Misandro, uno dei maggiori accusatori di Gesù (assieme al sacerdote Nizech), ora sostituita da un soldato.
La scena, affollata di figure a causa di un ravvicinamento per la sostituzione della vara avvenuta alla fine degli anni ’20 del XX secolo, offre una interpretazione realistica dell’episodio rappresentato che si configura, sia pure in modo convenzionale e retorico, attraverso le gestualità, le pose e le espressioni dei personaggi. 
Cristo, in primo piano, ancora con le mani legate e con lo scettro di canna, la corona di spine e il rosso mantello - beffardi simboli regali - è raffigurato nell’afflitta posa della vittima sacrificale, con il corpo anatomicamente curato. Nel raffigurare il volto di Cristo Domenico Nolfo utilizza quel modello iconografico ben definito nella bottega di famiglia e riprodotto anche nei gruppi realizzati dal padre Antonio e dal fratello Francesco: capo inclinato, volto piccolo e profilato da una barba sottile e bipartita sul mento appuntito, palpebre socchiuse, bocca piccola da cui traspare la dentatura, baffi lunghi, capigliatura fluente con ciocche che ricadono sulle spalle. È sempre lo stesso volto sofferente di Gesù che vediamo nei gruppi “La caduta al Cedron”, “La coronazione di spine”, “La spoliazione”, ma anche nel corpo morto di Cristo nell’urna. Pilato, come prefetto della Galilea, veste gli abiti che il suo ruolo gli impone, descritti nei particolari: un mantello bordato di frange dorate, una tunica stretta a vita da una cintura e ornata da fregi dorati che in processione vengono ricoperti da ornamenti d’argento di gusto rococò, un copricapo orientale a turbante, che avvolge la testa. Curata nei particolari descrittivi e ricca di effetti pittorici è la divisa del tribuno, provvisto di elmo legionario a calotta con paranuca, frontale e paraguance, sormontato da un elemento destinato a sostenere il cimiero di piume, riservato solo agli ufficiali e ai centurioni; appoggiato ad un bastone, tiene in mano la sentenza.
Degne di nota sono la sua spada con guaina e la bandoliera di cui è dotato in processione, manufatti pregevolissimi di argenteria trapanese del secolo XVIII. Quello che rafforza il significato della scena è il bacile tenuto in mano dal servo e che allude al simbolico gesto di Pilato di lavarsi le mani, oggetto eseguito da un argentiere trapanese nel 1794 e rispondente alla tipologia a forma ellittica sagomata, largamente diffusa nel Settecento sia per uso liturgico che domestico. 
Nel 1995 il gruppo è stato sottoposto a restauro, ad opera di Concetto Mazzaglia. (L.N.)

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