Il gruppo statuario de La Separazione apre la processione che si svolge a
Trapani il Venerdì Santo, raffigurando un episodio del ciclo della
Passione di Cristo, assente nei Vangeli, ma derivante dalla tradizione
devozionale medievale e dai testi apocrifi che hanno aggiunto ai racconti
della Passione elementi emotivi ed episodi patetici e coinvolgenti come il
congedo simbolico di Cristo dalla madre, avvenuto a Nazaret o a Betania. I
personaggi, oltre a Gesù, sono quelli che hanno avuto un ruolo importante
nella sua vita: Maria, la madre, e Giovanni, l’apostolo prediletto,
presente nei momenti più significativi della vita di Cristo, l’unico
dei discepoli a rimanere presso la croce fino alla sua morte. Gesù prima
di morire gli affidò la madre e lui le rimase sempre accanto per
confortarla e condividerne l’indicibile dolore, accompagnandola fino al
termine della vita.
Il gruppo attuale sostituisce quello originario affidato nel 1621 dalla
Confraternita del Sangue Preziosissimo di Cristo alla maestranza degli
orafi e argentieri, con l’obbligo di curalo, abbellirlo e portarlo in
processione. Tradizionalmente viene attribuito a Mario Ciotta (fine secolo
XVII-1750 ca.), maestro specializzato nella tecnica del legno tela e
colla, con cui è realizzato il gruppo (come tutti gli altri), ritenuto
allievo di Pietro Orlando ed uno tra i maggiori scultori trapanesi della
prima metà del secolo XVIII.
L’episodio, raro nella Storia dell’Arte, viene sviluppato attraverso
una composizione equilibrata nella quale le tre figure sono poste a
distanza ravvicinata, per l’evidente ragione di occupare minore spazio.
La disposizione semicircolare richiama alla mente la soluzione
raffaellesca, adottata per Maria, il sacerdote e Giuseppe nello Sposalizio
della Vergine, alla quale afferisce anche l’ideale semicerchio che dalla
spalla destra di Maria si sviluppa fino a quella sinistra di Giovanni.
Maria, alla destra di Gesù, e nell’atto di porre la mano sinistra sulle
spalle del figlio, gesto che sottolinea il vincolo affettivo tra i due, è
raffigurata secondo i canoni iconografici tradizionali: con la veste rossa
che sta ad indicare la sua umanità, e il manto azzurro simbolo della
divinità della quale si è ricoperta, divenendo la madre di Gesù. La
pregevole scultura assume connotati umani e dolorosi nell’espressione
del viso e nello sguardo pietosamente rivolto verso il figlio. Questi,
più basso rispetto alle altre due figure perché nell’atto di
inchinarsi leggermente davanti alla madre, in segno di devozione, è la
figura meno riuscita nella resa del volume corporeo, creato con la tecnica
polimaterica. Molto intensa è invece l’espressione del volto, carica di
intensità emotiva, che attraverso il muto colloquio fatto di sguardi tra
madre e figlio, fa intuire il dolore per la separazione e il presagio
della morte. In quanto figlio di Dio, e pertanto di natura divina, al
contrario di Maria, Gesù veste una tunica azzurra, simbolo di divinità,
ed un manto rosso, allusione all’essersi fatto uomo. Nel Vangelo di
Giovanni si specifica che «quella tunica era senza cuciture, tessuta
tutta d’un pezzo da cima a fondo» Giovanni XIX, 23-24).
Giovanni è raffigurato come un giovane imberbe, con baffi e capelli
lunghi, in posa stante e composta, mentre con fare manierato dirige la
mano destra verso gli occhi, in segno di grande dolore, come per volere
asciugare le lacrime. Ha un volto dai lineamenti gentili, messo più in
evidenza dalla fronte larga e dal reclinare del capo verso il basso; l’aspetto
virginale di Giovanni trae origine dalla Legenda Aurea (1280) di Jacopo da
Varazze, uno dei testi fondamentali per la comprensione dell’arte sacra,
dove si legge che già nel suo nome «fu la grazia» è insito il dono
della castità e dello stato virginale, fattogli da Dio.
I tre personaggi vestono tutti lunghe tuniche dalla linea morbida, strette
a vita da cinture colorate d’oro zecchino, e sono provvisti di ampi
mantelli: particolarmente curato è il panneggio, caratterizzato da fitte
e lunghe pieghe. Accurata è anche la resa ad intaglio delle capigliature
di Gesù e Giovanni, che lasciano ben scoperta la fronte, ad attaccatura
alta e regolare e a ciocche ordinate e fluttuanti con quelle più lunghe
che ricadono sopra le spalle. Le statue di Maria e Giovanni mostrano
inoltre affinità stilistiche con le figure di Maria Addolorata e
Giovanni, attribuite allo stesso Ciotta e poste ai piedi del Crocifisso e
i due ladroni, custoditi nella chiesa trapanese di San Nicola, riferiti ad
Andrea Tipa (1725-1766). In particolare le due statue di Giovanni rivelano
connotati fisionomici simili. In processione le tre statue vengono
adornate con aureole d’argento, pregevoli manufatti del 1767, eseguite
dall’argentiere trapanese Giuseppe Piazza.
Nel 1770 il maestro palermitano Giuseppe D’Angelo curò l’indoratura
della vara lignea sulla quale sono fissate le tre statue. Il gruppo,
danneggiato durante l’ultimo conflitto mondiale, fu restaurato nel 1949
da Bartolomeo Frazzitta. Ulteriori restauri sono stati eseguiti nel 1998
da Concetto Mazzaglia e nel 2013 da Maria Rita Morfino.
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