ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO PEPOLI  -  Trapani

 
 
 

INDICE (linkabile)

   AM. Precopi Lombardo "Il corallo"

   L. Novara "Corallai ebrei a Trapani (sec. XV)"

   AM. Precopi Lombardo "Quadro alfabetico dei corallai ebrei"

   AM. Precopi Lombardo "Famiglie di corallai con più maestri attivi nell’arte"

   AM. Precopi Lombardo "La storia del corallo trapanese tra arte e artigianato: la prospettiva socio-economica"

   L. Novara "Il corallo trapanese tra arte e  artigianato: i maestri e le opere"

   L. Novara "Note biografiche su alcuni scultori e corallari trapanesi"

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Un’arte con il corallo inizia quando il corallaro “si trasforma” in scultore

 

 

 

 

La fortuna e lo sviluppo della scultura cosiddetta “in piccolo” si lega, probabilmente, al crescere del fervore religioso attorno al culto della Madonna di Trapani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rileggendo gli statuti dei corallari trapanesi ... emerge chiaramente la volontà degli scultori di distinguere la propria produzione artistica dalla lavorazione più prettamente artigianale dei corallari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Singolare” opera d’arte viene definito da Rocco Pirri il Crocefisso, conservato al Museo  Pepoli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La  consuetudine diffusa in Sicilia  di celebrare il Natale con il presepe, portò i maestri trapanesi a realizzare sia  singoli  pastori, sia  composizioni presepiali di varie dimensioni, con inserti corallini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tipicamente trapanesi sono i fioroni a girandola con supporto di rame smaltato su cui venivano inseriti piccolissimi elementi di corallo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando sul finire del secolo XVIII il corallo diventa più raro, gli scultori trapanesi ripiegano su altri materiali come l'avorio, l'osso, la madreperla, ...

 

 

 

Nel presepe della collezione Antonietta Naselli Flores, il corallo va sempre più riducendosi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La tipologia del crocefisso in corallo montato su croce di rame dorato era frequentemente usata dalla maestranza trapanese

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PER UNA STORIA DEL CORALLO ...

Annamaria Precopi Lombardo - Lina Novara

Lina Novara

Il corallo trapanese tra arte e  artigianato: i maestri e le opere

 

Esaminando la storia del corallo trapanese dall’angolazione storico-artistica, si evince che il momento di massimo splendore fu l’affermarsi nei secoli XVII e XVIII di “un’arte con il corallo”(1), un’arte complessa, ricca di apporti  e di relazioni tra artigiani, scultori, fonditori, orafi e argentieri,  architetti e ricamatori  i quali, secondo la specificità del proprio lavoro, utilizzarono il corallo  per le loro opere.

L’artigianato del corallo si trasforma in arte quando dalla produzione in serie di  palline, olivette, piccole bugne e virgolette dei secoli XIV, XV e XVI si giunge ad opere di più elevato pregio artistico come sculture e composizioni, spesso caratterizzate da  una ricca scenografia architettonica, molto cara al gusto barocco.

Quando l’estro dell’artigiano si associa alla perizia tecnica, quando l’inventiva dello scultore o la genialità dell’architetto si mobilitano per trasformare il rosso materiale in piccole statuine o nelle  strutture architettoniche di un presepe o di un paliotto, è allora che il corallo, superata la fase  prettamente artigianale di pulitura e di lavorazione, da prodotto del mare, o “fiore dagli abissi”, per ripetere il titolo del convegno, si trasforma in figure di Madonne, Santi e Crocefissi, o  si inserisce  in ricercate composizioni scenografiche.

Un’arte con il corallo inizia quando il corallaro “si trasforma” in scultore: uno scultore obbligato a subordinare la propria creatività alla forma del ramo da lavorare e ad operare “in piccolo”. 

Esse Drepani viros celebres qui pingendi, sculpindique artes exercent” scrive il Gaetani(2), riferendosi ai maestri trapanesi che tenevano bottega in via degli Scultori, odierna via Torrearsa, che con abilità e maestria realizzavano piccoli capolavori, oggi vanto di numerosi musei e collezioni private sia in Italia che all’estero, oggetti che un tempo furono orgoglio della città, grazie ai quali Trapani ebbe l’onore di essere denominata la “Firenze della Sicilia”.

“Esimi cultori delle arti – scrive Vito Amico nel 1760 – sorsero a Trapani, perché i trapanesi, a preferenza di ogni altra gente dell’isola, si addicono alla scultura dell’alabastro, dell’avorio, del corallo e di altre pietre e le loro opere sono tenute in gran conto”(3).

La fortuna e lo sviluppo della scultura cosiddetta “in piccolo” si lega, probabilmente, al crescere del fervore religioso attorno al culto della Madonna di Trapani al cui simulacro, come sappiamo dalla tradizione, resero omaggio nei secoli passati principi, re, uomini illustri, venuti anche da paesi stranieri.

Conseguenza ne fu l’affermarsi di un artigianato artistico che produceva in gran quantità piccole sculture a carattere sacro, riproducenti  soprattutto l’effigie della Madonna di Trapani, che i visitatori del Santuario erano soliti comprare come oggetti ricordo da portare con sé.

“Non vi è forastiere – scrive padre Benigno da S. Caterina - che arriva a Trapani, per li suoi negozi, che pria di partirsi non si provveda di alcune immagini di scultura, tanto in marmo, quanto in avorio, di corallo, di ambra, d’oro, di cammei e di altre consimili galanterie” (4).

Dalla documentazione manoscritta  che va dal XV al XVIII secolo emergono circa 350 nomi di corallari, ma solo ad una cinquantina di loro è associato il termine scultore, una qualifica cioè più elevata rispetto a quella del semplice artigiano dedito soltanto alla lavorazione del corallo(5).

 A questi nomi non possiamo purtroppo associare le opere, perché queste non venivano firmate.

Rileggendo gli statuti dei corallari trapanesi del 1628 e del 1633 emerge chiaramente la volontà degli scultori di distinguere la propria produzione artistica dalla lavorazione più prettamente artigianale dei corallari con i quali certamente non mancavano dissapori e invidie che indussero gli scultori a richiedere all’autorità senatoriale di staccarsi dall’ars corallarium per fondare una loro corporazione, costituita in seguito nel 1666(6).

 Nel XIV capitolo degli statuti, che tratta della stima del corallo, si nota inoltre una precisazione che rimarca la distinzione tra manufatti in corallo che debbono essere stimate dai consoli  e opere  di scultura  che invece devono essere  valutate da “li maestri scultori”(7).

La storiografia locale dei secoli passati è stata parca nell’esprimere giudizi estetici sulle opere:   Orlandini(8), Nobili(9), De Felice(10), solo per citare alcuni storici, si sono limitati a descrivere la rinomata produzione artistica tralasciando l’analisi stilistica.

E’ solo dagli inizi del secolo scorso che al corallo è stata rivolta un’attenzione più particolare attraverso una serie di pubblicazioni e studi specifici, motivati anche dalla rivalutazione della critica d’arte delle cosiddette  “arti minori”(11).

Ma è stato con la grande Mostra Internazionale del 1986 tenutasi presso il  Museo Regionale Pepoli di Trapani che si è rinnovato l’interesse per il corallo trapanese e per gli studi su di esso(12).

La consuetudine di non firmare le opere lascia un vuoto nella ricerca scientifica e nella storia dell’arte del corallo per l’impossibilità di confrontare  documenti ed opere.

Due manufatti firmati  ci rimandano ai loro autori: Francesco de Alfieri e fra Matteo Bavera. Il primo, documentato alla fine del sec. XVI firma una piccola scultura, raffigurante San Francesco d’Assisi che riceve le stimmate, realizzata in un unico ramo di corallo: il Santo è rappresentato in posizione orante con le braccia allargate, avvolto da un nastro con le punte svolazzanti verso l’alto, sul quale sono incise le parole “SIMPLICITAS e HUMANITAS”(13).

Fra Matteo Bavera, frate laico del convento di San Francesco d’Assisi di Trapani, assieme alla data 1633, appone la firma sulla splendida lampada pensile, conservata  al Museo  Pepoli (14). E’ un oggetto lavorato con la tecnica del retroincastro, ossia inserendo piccoli elementi di corallo dalla parte interna, sul rame precedentemente forato,  e fissandoli con una speciale colla formata da pece e cera.    Come altri maestri Matteo Bavera riempie quasi tutta la superficie del rame con i piccoli elementi, riproponendo un’antica consuetudine arabo-islamica,  una sorta di horror vacui  che ben si confà al gusto barocco.

Di derivazione araba è anche l’usanza di smaltare a stralucido il rame di vassoi, acquasantiere, capezzali e oggetti liturgici o di carattere profano.

“Singolare” opera d’arte viene definito da Rocco Pirri il Crocefisso, conservato al Museo  Pepoli e attribuito a fra Matteo Bavera(15); é realizzato da un unico pezzo di corallo e l’autore, oltre alla maestria tecnica nell’adattare la figura del Cristo al ramo di corallo, dimostra anche una notevole capacità espressiva, soprattutto nella realizzazione del viso sofferente.

 Sempre a fra’ Bavera viene comunemente riferito  il calice dello stesso Museo(16), una delle opere più significative dell’intera produzione trapanese in corallo, per l’alto grado di perfezione  tecnica ed estetica raggiunta dall’autore nella realizzazione dei  cammei che raffigurano Angeli recanti simboli della passione di Cristo. Sull’attribuzione a fra Bavera i pareri sono discordanti: gli viene comunque  da più voci riferito  per le rare capacità tecniche ed espressive, possedute dall’autore.

Senza dubbio fu uno scultore ad eseguire la Madonna con Bambino, della metà del secolo XVII, dall’anomala iconografia che pone la Madonna sopra una mezzaluna (attributo dell’Immacolata), dovuta forse per una manomissione del manufatto(17).                    

Questa placchetta, conservata  al Museo Pepoli, proviene dalla Collezione Hernandez di Erice (18).  Particolarmente ricercati sono gli effetti dinamici, evidenti nello svolazzare delle pieghe e nella posizione del bambino.

La  consuetudine diffusa in Sicilia  di celebrare il Natale con il presepe, portò i maestri trapanesi a realizzare sia  singoli  pastori, sia  composizioni presepiali di varie dimensioni, con inserti corallini.

Non sappiamo quando ebbe inizio tale usanza, tuttavia da un documento del 1571, il Conto di Cassa del Tesoro Generale del Regno di Sicilia, si ricava che nella cosiddetta “Montagna di Corallo” era rappresentata la Natività(19).

La ricca composizione, oggi dispersa, era formata da 85 figure in corallo e fu acquistata nel 1570 a Trapani, per mille scudi, dal vicerè di Sicilia Don Francesco Ferdinando Avalos d’Aquino, marchese di Pescara, tramite don Francesco Staiti, per essere donata al re di Spagna, Filippo II.

L’opera, secondo la descrizione del citato documento, rappresentava episodi del Nuovo Testamento, della vita di Cristo e di Santi.

La scena della Natività viene descritta in una grotta con i personaggi classici: Gesù, la Madonna, San Giuseppe, un angelo annunziante e dei pastori. Inoltre vengono citati vari animali tra cui: daini, cervi, serpi. Ricorre accanto ad ogni personaggio la parola “in genocchione”, attraverso la quale si vogliono rimarcare i sentimenti di fede e devozione dei partecipanti all’evento.

Per una probabile dimenticanza non viene annotata la presenza del bue e dell’asinello, sicuramente rappresentati.

I personaggi indicati fanno parte di quel “caratteristico mondo di pastori e animali – scrive il De Felice(20) – che il talento trapanese creava con squisito gusto e maestria, mondo di microscopici capolavori con cui l’artigianato artistico esprimeva l’eterna poesia”  del Natale.

Una Natività di piccole dimensioni è rappresentata su una placca di rame di pochi centimetri (13 x 11) sulla quale sono applicati con filo metallico le figurine in corallo della Madonna, del Bambino e di San Giuseppe, oltre uno zampognaro, un offerente, un cherubino e tre puttini(21).

 Questo pezzo appartiene alla collezione Whitaker di Palermo ed è stato esposto, come altri in corallo, alla Mostra Internazionale dell’arte del Corallo del 1986.

 E’ forse uno tra i più piccoli presepi realizzati dai maestri trapanesi che crearono per le chiese e per la ricca società borghese ed aristocratica dei secoli XVII e XVIII, presepi completi prevalentemente su sfondi architettonici.

  Al Museo Pepoli di Trapani e al Museo San Martino di Napoli, sono conservati due esemplari in corallo, entrambi eseguiti in rame dorato, argento, corallo e smalti.

Il primo, quello del Pepoli (22), proviene dalla collezione dell’ericino conte Hernandez (23) ed è montato su una base di rame dorato (cm. 44 ca.). La scenografia è costituita da una architettura in legno rivestita da lamina di rame con inserti di corallo usati per formare plinti, colonne, bugne ed archi; il tutto è ricoperto da una fitta vegetazione di foglie e fiori che si inseriscono fra le strutture del finto edificio.

 Le figure di Maria, di San Giuseppe, del Bambino, dei tre pastori e dell’angelo sono realizzati con frammenti di corallo legati insieme dalla ceralacca, tecnica usata nel secolo XVIII.

 Tipicamente trapanesi sono i fioroni a girandola con supporto di rame smaltato su cui venivano inseriti piccolissimi elementi di corallo.

 Il rudere antico, introdotto in Sicilia nel presepe della chiesa parrocchiale di Scicli e attribuito ad artigiani napoletani della seconda metà del secolo XVI, poi rinnovato nel 1776 da Pietro Padula, è una costante dei presepi d’arte trapanesi e testimonia l’adesione al cosiddetto “rovinismo” che portò scultori, pittori e architetti ad inserire il rudere nella loro produzione, sia come allusione alla cultura classica, sia  come evocazione della distruzione del paganesimo operata dalla religione cristiana.

Una struttura architettonica in rovina, molto simile a quella del presepe trapanese, si ritrova in un esemplare da me rinvenuto nel castello di Masino, in provincia di Torino, appartenente ai conti Valperga di Masino, ora proprietà del F.A.I. (Fondo per l’Ambiente Italiano).

Il presepe di Masino ha la stessa fitta vegetazione in argento e lamina smaltata, gli stessi fiori a rosoni in corallo, identici archi con bugnato e colonne realizzate con piccoli pezzi di corallo uniti con la ceralacca, stessa tecnica usata anche per l’angelo svolazzante che regge un nastro, fra l’altro molto simile a quello trapanese; inoltre, come il presepe della collezione Hernandez, quello dei conti Valperga ha la base sagomata in rame con racemi di corallo, applicati tramite la tecnica della cucitura.

Verosimilmente i due esemplari sono stati eseguiti su  di un identico disegno, più volte collaudato, come dimostra anche un altro esemplare di collezione privata di Trapani, con le statuine in avorio(24).

Non conosciamo le vicende e i passaggi legati all’arrivo a Masino del manufatto trapanese, ma considerando che un presepe di corallo, simile ai precedenti, fu donato da un vicerè spagnolo ad un duca estense di Modena (poi trasportato a Vienna e dopo la prima guerra mondiale restituito all’Italia), ora nel Museo Nazionale San Martino di Napoli(25) e che preziosi oggetti in corallo avevano una “destinazione aulica” e venivano spesso offerti a personaggi di corte o di alto rango, viene da ipotizzare che qualcuno dei ricchi conti  Valperga avesse ricevuto in dono il presepe o lo avesse acquistato per la collezione del castello: forse Carlo Francesco I di Masino (sec. XVII - 1717), persona raffinata “aggiornato verso tutte le tendenze del gusto, dal guardaroba personale all’arredo del Castello”, o forse Carlo Francesco II (1727 – 1811), il più famoso della casata, ambasciatore a Parigi, in Portogallo, in Spagna e poi vicerè di Sardegna dal 1780(26).

Va inoltre sottolineato che i manufatti trapanesi erano molto apprezzati da collezionisti italiani ed esteri, e che illustri famiglie come i Doria di Genova, i principi di Lignè, i conti di Schoenborn e poi i Whitaker di Palermo ne possedevano pregevoli esemplari.

  E’verosimilmente una statuina da presepe la figurina in corallo, alta poco più di cm.11,  raffigurante un suonatore, databile tra la fine del secolo XVI e gli inizi del XVII, oggi al Museo Duca di Martina di Napoli(27).

 Il personaggio veste abiti romani e con le braccia regge uno strumento a corda, mentre sembra accompagnare la musica con la danza: risulta evidente l’abilità dello scultore nell’adattare la posa della figura al pezzo di corallo che aveva a disposizione, riuscendo a rendere dinamica la posizione: non va dimenticato che i maestri trapanesi erano abili nello sfruttare la forma del ramo per creare crocefissi, statuine o fantastiche composizioni come quella di San Gerolamo nel deserto che vede il Santo scolpito sui rami del corallo(28).

 Il piccolo suonatore  verosimilmente faceva parte di un gruppo di pastori di un unico presepe, oggi smembrato, come altri esemplari conservati in collezioni private.

Il sistema di custodire in bacheche, le cosiddette “scarabattole” o “scaffaratelle”, forse dal catalano “escaparata”, i piccoli pezzi, indica l’evolversi della tradizione presepiale che, da fatto prettamente religioso, si trasforma in esposizione di oggetto d’arte ed assume valore di arredo nelle case degli aristocratici e dei borghesi siciliani.

Quando sul finire del secolo XVIII il corallo diventa più raro, gli scultori trapanesi ripiegano su altri materiali come l’avorio, l’osso, la madreperla, l’alabastro, le pietre dure, come è evidente nel presepe del Museo Civico di Termini Imerese nel quale le statuine in avorio sono collocate su un terreno roccioso, realizzato con scaglie di corallo collegate con la ceralacca: i capitelli e i fusti degli alberi sono in corallo, le foglie d’argento e i fiori in madreperla(29). Si cominciano ad avvertire i sintomi del declino del rosso materiale che va sempre più riducendosi, fino a quasi scomparire.

E’ ancora l’avorio che predomina e sostituisce il corallo, ridotto a pochi elementi, nel presepe in miniatura della collezione Burgio di Palermo, inserito in una cornice d’argento a ghirlanda di fiori e foglie, attribuito alla bottega dei fratelli Alberto e Andrea Tipa(30).

 Nel presepe della collezione Antonietta Naselli Flores, il corallo va sempre più riducendosi fino ad essere utilizzato soltanto per gli elementi ornamentali, per i microscopici animaletti, mentre  le girandole che un tempo erano di corallo ora vengono sostituite da fioroni d’argento(31).

 Risultato di una feconda collaborazione tra corallari, ricamatori e architetti furono i meravigliosi paliotti d’altare, opere certosine delle monache di clausura  dei monasteri siciliani, che ricamavano con fili di seta d’oro, d’argento e  con palline di corallo arrotondate e “perciate”, acquistate a chili presso i corallari trapanesi .

 L’uso di arricchire i ricami con pietre dure in Sicilia risale all’epoca bizantina, trova sviluppo in età araba prima,  normanna dopo, ricompare in età barocca, grazie all’attività delle suore le quali oltre ai paramenti sacri e ai paliotti per gli altari delle chiese, eseguivano anche arredi liturgici per  cappelle private.

 A  Palermo e a Messina lavoravano inoltre ricamatori laici che, riuniti in maestranze,  realizzavano opere a carattere religioso: tra questi va ricordato  Giacomo Mazzeo che   eseguì un “palio d’altare” per la  chiesa di S. Francesco Saverio di Messina, ricamandola con coralli(32).

Nel 1650 i padri Gesuiti di Trapani fecero eseguire a Messina uno dei più preziosi paliotti, su disegno dell’architetto palermitano Stefano (o Mariano) Quaranta che tra il 1649 e il 1652 lavorava a Trapani presso la Chiesa del Collegio dei Gesuiti; ricamato con fili d’argento e di seta, palline di corallo e granatine il paliotto, ora al Museo Pepoli, raffigura un prospetto architettonico addobbato a festa (33).

 La cultura barocca fece largo uso di scenari architettonici resi prospetticamente e furono gli architetti, memori delle esperienze romane, a creare i disegni delle opere da realizzare, rendendoli  corrispondenti alle esigenze prospettiche e scenografiche e al gusto del tempo(34).

 Nella maggior parte dei paliotti siciliani, anche in quelli realizzati con altri materiali come il legno, il marmo e l’argento, risuonano gli echi delle architetture di Giacomo e Paolo Amato e in ambito trapanese  delle opere di Giovanni Biagio Amico e Andrea Palma(35).

Si sviluppa con questo tipo di collaborazione  un filone di attività  in parallelo tra artigianato ed architettura, determinato da un lato dall’opera di corallari, ricamatori, tessitori, e dall’altro degli architetti, che ha portato alla realizzazione di  manufatti di straordinaria efficacia, con prospetto architettonico(36).

 Le opere prese in esame sono ben poca cosa rispetto alla vasta produzione in  corallo dei secoli XVII e XVIII,  i cui pezzi migliori sono conservati in collezioni pubbliche e private di tutto il mondo. L’impossibilità di risalire agli autori lascia delle lacune nella storia degli studi. Alcuni  atti notarili   tuttavia, accanto ai nomi di corallari e scultori, indicano anche le loro opere: rifacendoci alle fonti documentarie  ne  indichiamo qui di seguito alcune con i relativi autori (37).

Di Nicolò Renda, vissuto nella prima metà del secolo XVII, sappiamo che fu l’artefice di quattro Madonne, una Santa Rosalia, un Padre Eterno e una Santa Ninfa (38), mentre il suo contemporaneo Sebastiano Ciotta eseguì Crocefissi e simulacri di Santi (39).

Nella seconda metà dello stesso secolo Andrea Sole realizzò statuine dell’Immacolata, dell’Assunta,  di San Sebastiano, Santa Rosalia, San Girolamo, San Michele (40) .

Un Crocefisso di collezione privata di Palermo, collocato su una base singolare, potrebbe essere quello che  Serraino indica “su croce incastrata di corallo con tre monti”, consegnato da Gaspare Furco nel 1668, assieme ad un altro simile, ad un tal Andrea De Amelia perché lo vendesse a Cagliari (41). La presenza di un crocefisso “dalla base identica”, simulante il monte Golgata”, rilevata dalla Di Natale nel Duomo di Messina, “insieme ad altri molto simili” fa pensare ad una peculiare soluzione adottata dall’autore(42).

Ignazio de Caro, Nicola Corso, Diego Castro furono autori di crocefissi, mentre Vito De Bona di acquasantiere, quadri  e di  un ramo scolpito con la vita di Santa Caterina (43).

Pietro, Mario e Ippolito Ciotta realizzarono crocefissi e simulacri, Ippolito realizzò anche delle composizioni con San Francesco Saverio e  con San Francesco di Paola(44).

Antonio Brusca eseguì crocefissi e un San Tommaso(45).

La tipologia del crocefisso in corallo montato su croce di rame dorato era frequentemente usata dalla maestranza trapanese come dimostrano alcuni esemplari dei secoli XVII e XVIII: i crocefissi delle collezioni Naselli-Flores (46) e Virga (47) di Palermo o dei Musei Duca di Martina di Napoli (48) e Regionale di Messina (49).

Vito Bova fu autore di una statuetta di Carlo II, che Vincenzo Abbate ipotizza possa essere il “Trionfo con Carlo II”, di collezione privata di Palermo, esposto alla mostra del 1986 (50).

 Nel secolo XVIII Paolo Cusenza fu stimato ed apprezzato, anche dagli stranieri, per la maestria e l'abilità tecnica con cui lavorava non solo il corallo ma anche altri materiali; scultore, incisore e poeta, geniale, impulsivo e talvolta intollerante, lavorava in modo celere  lasciando qualche volta le opere non rifinite. Fu autore, tra l’altro, di  Tizio trafitto dai dardi di Apollo e precipitato nel tartaro (51).

I fratelli Carlo e Leonardo Guida, incisori e scultori, furono attivi nel secolo XIX (52). Carlo (1838-1863) lavorò in modo geniale sia il corallo che la conchiglia, creando pregevoli cammei, alcuni dei quali furono acquistati dal Museo di Dublino (L'officina di Vulcano, Putto che intreccia l'edera, Amore e Psiche). Leonardo fu considerato  da De Felice “l’ultima fiamma di questa nostra gloriosa arte” e da Maria Accascina, qualificato esponente della scultura trapanese(53). Per l’alta qualità delle sue opere in corallo e dei cammei, nel 1882 la commissione della Camera di Commercio  ed Arti di Messina gli conferì una medaglia di bronzo . Anche Baldassare  Sammartano (54) eseguì cammei e sculture in corallo, mentre l’ultimo  fra i maestri del passato Giovanni Pizzitola(55)  che arrivò alle soglie del XX secolo, fu autore di  cammei e piccoli puttini in varie pose.

Nella storia del corallo trapanese un altro nome va ricordato: quello di Antonio Cimminello (sec. XVI), al quale viene attribuita  l’invenzione dello strumento, il bulino, per la lavorazione del corallo(56). Di Ferro  avanza l'ipotesi che il Cimminello abbia eseguito anche lavori in corallo e precisamente il gruppo cosiddetto della Casta Susanna, realizzato in un unico ramo di corallo "cinabrino", ed una mano, entrambi conservati nel Museo Settala di Milano. Sempre secondo Di Ferro "il gran siciliano", indicato come autore dei due manufatti da Pietro Francesco Scarabelli nella descrizione del Museo Settala, "debba intendersi" Antonio Cimminello (57).

Non abbiamo la certezza che sia stato proprio lui ad inventare il bulino, ma attraverso il suo nome rendiamo merito a chi è stato in grado di consentire al altri di raggiungere risultati eccellenti nella scultura  “in piccolo”.

Conclusasi la grande stagione del corallo, gli atti notarili dagli archivi hanno tramandato, e continueranno ancora a tramandare, i nomi dei maestri trapanesi, ma  saranno le opere tuttora esistenti, anche se anonime, a parlare di loro, della loro creatività, della loro maestria, della loro genialità attraverso un linguaggio fatto di  perizia tecnica, creatività, estro, e fantasia, oltre che a tenere vivo nel tempo il ricordo dell’operosità trapanese e il gusto di più epoche.

 

 

NOTE

1)       Maltese C., “Arte del corallo e arte con il corallo” in L’Arte del corallo in Sicilia, Catalogo della Mostra Internazionale - Trapani Museo Regionale Pepoli, 1 marzo-1 giugno 1986, Palermo 1986, p. 21

2)     Gaetani P., Isagoge ad historiam sacram  siculam, Palermo 1707

3)       Amico V.M., Lexicon Topograficum Siculum, Palermo-Catania 1757-60, tradotto e annotato da Di Marzo G., Dizionario Topografico della Sicilia, Palermo 1855-56, voll.2

4)       Benigno da Santa Caterina, Trapani nello stato presente profana e sacra, Ms. 199-200, Biblioteca Fardelliana, Trapani 1810, p.79

5)        Per notizie sui singoli  corallari, scultori e incisori trapanesi rimando alle schede da me redatte per il Catalogo della mostra Materiali preziosi dalla terra e dal mare , Trapani Museo Pepoli,15 febbraio-25 maggio 2003.

6)       Patera B., “Corallari e scultori di corallo nei capitoli trapanesi del 1628 e del 1633” in  L’arte del corallo…, cit. pp 69-78; Precopi Lombardo AM., “Tra artigianato e arte: la scultura del trapanese nel XVII secolo”, in Miscellanea Pepoli, Trapani 1997,pp.83-113; Eadem, L’artigianato trapanese tra il XIV e il XVII secolo, Trapani 1987, pp.27 sgg.

7)       Per gli Statuti vedi: Atto 11 luglio 1628, not. B. De Monaco, Archivio di Stato di Trapani; Registro di Lettere b.19 fasc 55 1632-33, Archivio del Senato di Trapani (Biblioteca Fardelliana)

8)       Orlandini L., Trapani in una breve descrizione , Trapani-Palermo 1605,p.16

9)       Nobili V., Il tesoro nascosto,Trapani 1698 p. 579   

10)    De Felice F., Arte del trapanese, Palermo 1936, p. 36

11)    Cfr. fra l’altro: Baldasseroni V., “Il Corallo” in  Aloisio  P., Le gemme,trattato sulle pietre preziose, Firenze 1932; Tescione G., “L’industria del corallo nel Regno di Napoli dal secolo XII al XVII”, in Archivio Storico  per le provincie napoletane, Napoli 1937; Idem,Origini dell’industria e dell’arte del corallo in Sicilia”, in Archivio Storico per la Sicilia, VI 1938; Idem, Il corallo nella storia e nell’arte, Napoli 1965; Daneu A., L’arte trapanese del corallo, Milano1964; Accascina M., “Palinodia sull’arte trapanese del corallo” in Antichità viva n. 3,1966; Tartamella E., Corallo, storia e arte dal XV al XIX secolo, Palermo 1985

12)    L’arte del corallo.., cit.;  cfr. anche: Sparti A.., Fonti per la storia del corallo nel Medioevo Mediterraneo, Trapani 1986

13)    Di Natale M.C., scheda 164, in L’arte del corallo…,cit.; Eadem  in Splendori di Sicilia, Palermo 2001, p. 33; vedi anche Novara L. “San Francesco d’Assisi” scheda iconografica, in Materiali preziosi… cit.

14)     Abbate V., “Lampada” ,scheda 29 in L’arte del corallo…, cit.

15)      Ibidem , “Crocifisso”, scheda  30; Pirri R., Sicilia sacra, Palermo 1733, p. 879

16)      Abbate V., “Calice”, scheda 31 in L’arte del corallo…cit.

17)     Ibidem, “Placchetta ovale con Madonna col Bambino”, scheda 71

18)     Cfr. Novara L., “La collezione Hernandez: da Erice al Museo Pepoli” in Miscellanea Pepoli, Trapani 1997, pp. 229-254

19)    Salomone Marino S., “ Una montagna di corallo” in Archivio Storico Siciliano n.s. a. XIX, Palermo 1894, pp. 277-288. Per i presepi artistici trapanesi cfr.: Il Natale nel presepe artistico, a cura di Di Natale M.C., Palermo 1994

20)    De Felice F., Arte del trapanese, cit., p.27

21)    Guttilla M., “Cornice contenente collana e capezzale con presepe”, scheda 66, in L’arte del corallo…, cit.

22)    Abbate V., “Presepe”, scheda 138, ibidem

23)    Cfr.  Novara L. , “La Collezione Hernandez…”, cit., pp.239-241

24)    Cfr. Tartamella E., Corallo…, cit., p. 316, tav.45

25)    Cfr. Tescione G., Il corallo nella storia e nell’arte, cit. , p.272

26)    Di Macco M., “Committenti e collezioni: Il Seicento” in Le guide del FAI: Il Castello di Masino, Milano 1989, p.76

27)    Ascione G.C., “Suonatore”, scheda 20 in L’arte del corallo…, cit.

28)    Di Natale M.C. , “S. Girolamo”, scheda 107, in  L’arte del corallo…, cit.

29)    Di Natale M.C., “Presepe”, scheda 177, in L’arte del corallo…, cit.

30)    Di Natale M.C., Abbate V., ( a cura di) In Epiphania Domini, Palermo 1992, p.146,fig.15. Per Alberto, Andrea, Giuseppe Tipa  cfr. Novara L., voci in “Sarullo L., Dizionario degli artisti siciliani”, Palermo 1994, vol. III

31)    Di Natale M.C., “Presepe”, scheda 178, in L’arte del corallo…,cit.                                 

32)    Cfr. Di Natale M. C., “Il corallo da mito a simbolo nelle espressioni pittoriche e decorative in Sicilia” in  L’arte del corallo… ,cit.p.96. Per  i ricami messinesi in corallo  cfr.  Ciolino Maugeri C., “Documenti inediti per una storia degli argenti e delle manifatture seriche nella Messina del Seicento”, in Cultura, arte e società a Messina nel Seicento, Messina 1983; Macchiarella B., Cultura decorativa ed evoluzione barocca nella produzione tessile e nel ricamo in corallo a Messina (secc.XVII-XVIII), Messina 1985

33)    Abbate V., “Paliotto d’altare”, scheda 80, in L’arte del corallo…,cit. ; Scandariato D., “Il paliotto in corallo del Museo Regionale Pepoli di Trapani ed alcuni manufatti di committenza gesuitica”, in BCA/Sicilia, 1-2 1988-89,pp. 50-53

34)    Cfr.:Ruggieri Tricoli M.C., Il teatro e l’altare Paliotti “d’architettura” in Sicilia, Palermo 1992

35)    Per i paliotti trapanesi cfr.: Novara L., “Paliotti-urna a Trapani” in  Il teatro e l’altare..,cit.,pp.245-254; Eadem, “Paliotto d’altare con veduta architettonica” scheda II,172 in Ori e argenti dei Sicilia, Catalogo della mostra, Trapani Museo Regionale Pepoli,1 luglio-30 ottobre 1989, Milano 1989

36)    I soggetti dei paliotti rispondono quasi sempre a precise esigenze simboliche: l’uva e  il pergolato stanno  a significare il sangue di Cristo, la fontana, la fons vitae, allude a Gesù Cristo, l’acqua è la purezza che si ottiene col battesimo (cioè la rigenerazione della vita), il giardino con i fiori rappresenta l’Eden, l’hortus conclusus, il quadriportico, il paradiso; la colonna tortile ripete il disegno dato da Dio a Salomone per il tempio di Gerusalemme . Era consuetudine in età barocca addobbare nelle grandi feste gli altari con fiori e frasche, consuetudine che durò fino all’Ottocento come si vede in un paliotto messinese della chiesa Montevergini. Tra i piu interessanti paliotti ricamati vanno ricordati: il paliotto in seta, oro, argento, perline di corallo, applicazioni in rame, proveniente dalla chiesa di Sant’Ignazio all’Olivella di Palermo, ora a Palazzo Abatellis; il paliotto di Casa Professa, caratterizzato da  un modulo ripetitivo di colonne con vasi di fiori. Ancora ricami e coralli in un paliotto della chiesa di San Francesco di Paola a Palermo, simile ad un altro della stessa chiesa dove è raffigurato S. Francesco di Paola mentre riceve le insegne dell’ordine. Per i  manufatti qui citati cfr.: schede n.78, 80, 91,109, 110, 112, 154, 148, 172  in L’arte del corallo…,cit.

37)    Per le fonti documentarie su corallari e scultori, rimando a: Serraino M., Trapani nella    vita civile e religiosa, Trapani 1968 ,pp.105-124; Precopi Lombardo AM., “Tra Artigianato e arte…” cit.; Eadem, “Scultori trapanesi “d’ogni materia in piccolo e in grande” nella dinamica artistico-artigianale tra il XVIII e il XIX secolo” in Materiali preziosi…, cit.

38)    Con il nome Nicolao Di Renda firma i capitoli della maestranza, stabiliti nel 1628 (A.S.T.,not. B. De Monaco, cit.).

39)    Sebastiano Ciotta, in qualità di console della maestranza dei corallari, firmò i Capitoli del 1628(A.S.T., not. B. De Monaco, cit.) e come semplice maestro quelli del 1633(B.F.T.,Lettere,1632/33, cit.).

40)    Andrea Sole è documentato nel 1670 e  nel 1677( L’arte del corallo…cit.; Serraino M.,Trapani…cit,p.112). 

41)    Serraino M., Trapani …,cit.,p.112. Oltre a Gaspare sono documentati altri due maestri, Leonardo e Nicolò che firmarono sia i Capitoli del 1628 e del 1633.

42)    Di Natale M0.C., “Crocefisso”, scheda 104 in  L’arte del corallo…,cit.

43)    Vedi nota 5PRIVATE  TC  \l 1 "CIOTTA "

44)    Ciotta è una nota famiglia trapanese di scultori che lavorarono diversi materiali: legno ,corallo, avorio, pietre dure.

45)    Antonio Francesco Brusca è documentato al 1665 e al 1668 (Serraino M., Trapani…cit, p.111).

46)    Di Natale M.C., “Crocifisso” scheda 38  in L'arte del corallo…,cit.

47)    Ibidem, scheda 108

48)    Ascione  G.C.,  “Crocifisso”, scheda 92, in L’arte del corallo…,cit.

49)    Di Natale M.C. “Crocifisso” , scheda 105, in L’arte del corallo…,cit.

50)     Vito Bova fu attivo a Trapani nel sec XVII.

51)    Paolo Cusenza  nacque a Trapani il giorno 11 gennaio 1736. Morì il 16 giugno 1789.

52)    Carlo praticò anche la pittura, ed ebbe come maestri Giuseppe Mazzarese (Mondello F. Guida artistica di Trapani, Trapani 1883,p.60) e Leonardo Marrone (Bongiovanni G, voce, in “ Sarullo L., Dizionario degli artisti…cit., vol. II, 1993).

53)    De Felice F., Arte del trapanese …cit.,p.27;  Accascina M., Palinodia…cit,p.425).

54)    Baldassare Sammartano, corallaro e scultore, documentato nel 1812.

55)     Cfr.: Di Natale M.C.,”Cammei in corallo …,cit.,pp.269-277. Giovanni Pizzitola nacque il 9 ottobre 1838  e morì il 22 luglio 1915; ottenne il primo premio all’Esposizione Provinciale di Belle Arti di Trapani e nel 1881 venne premiato con la medaglia di bronzo all’Esposizione di Milano alla quale partecipò con gli allievi della Scuola di Arti e Mestieri di Trapani, dove insegnava incisione in corallo e pietre dure. Sue opere in corallo e su conchiglia sono conservate al Museo Pepoli. Vedi anche scheda 218 in L’arte del corallo…,cit.

56)    Antonio Cimminello nacque a Trapani nel 1520 circa, da una famiglia di discreta agiatezza  (Costanza S., Per una storia…cit.,p.27).

57)    Ibidem p.61; Scarabelli P.F., Il Museo Settala, Milano 1667, pp.7,16,17

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